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Il re si traveste per smascherare la sanità malata

Posted by milionidieuro su 29 Maggio 2009


GERUSALEMME — Alle 10 di mer­coledì mattina c’è già coda al consul­torio pubblico di Shmeisani, zona ovest di Amman, proprio dietro l’al­bergo Le Meridien. La kefiah biancorossa in testa, una lunga ja­labiya nera, un bastone a simula­re vecchiaia, la barba incolta e ingrigita, un uomo d’una certa età si presenta sottobraccio a un giovane. Si registra allo spor­tello, aspetta il suo turno: «Que­sta è la cartella medica di mia moglie. Si chiama Intisar al-Rashdan, deve fare degli esa­mi urgenti».

L’impiegato dà un’occhiata: «E dov’è la pazien­te? ». «Vive a Irbid. Ma è vecchia, ha problemi di cuore, non può venire». «Va bene, compili questo modulo…». I due si siedono. Scrivono. Annotano anche il numero di carta d’identità della signora Intisar. Riconsegnano il papiro e aspettano. Quindici minuti. Finché l’impiegato non controlla i do­cumenti, richiamandoli: «Ma la vo­stra famiglia non ha un’assicurazio­ne medica, vero?». «No, siamo pove­ra gente…». «Allora dovete salire al primo piano e chiedere della dotto­ressa Fatima Khalifa…». «Ma dobbia­mo rifare la coda?». «Mi spiace…». Il re non è nudo. Ama travestirsi. E smascherare la burocrazia malata. Re Abdallah II di Giordania ha due cose in comune col nostro ministro Brunetta: l’altezza e l’odio per i fannulloni.

Come usava il calif­fo Omar ibn al-Khattab, che si fingeva mendicante per sag­giare la generosità dei suddi­ti, come faceva papà Hus­sein che di nascosto entrava nelle caserme ad assaggiare il rancio dei suoi soldati, sta­volta Sua Maestà voleva con­trollare se è vero che la sani­tà funziona così così, nel re­gno hashemita, e se soltanto i ricchi hanno la possibilità di rice­vere cure adeguate in cliniche pri­vate da settecento euro a notte e perché mai questo consultorio di Sh­meisani rimandi a casa, senza visitar­li, centocinquanta pazienti al giorno.
Abdallah non s’è mascherato molto bene, però: quand’è salito al primo piano, e s’è messo a far domande a chi aspettava in coda, qualcuno l’ha sgamato. Inutile fare «ssssst!…» col dito, im­plorare discrezione. Per tutta la Gior­dania è stato subito un tamtam di sms, la notizia è finita sul web e in poche ore è stata confermata dalla corte reale. Il tutto mentre l’ignara, povera dottoressa Khalifa, che non aveva capito affatto, indifferente e un po’ seccata spiegava al sovrano che «senza pazien­te non si può nulla, l’uni­ca è mandare la documen­tazione al dipartimento centrale che poi chiederà un parere al Royal Divan, per le autorizzazioni, e in­somma tornate fra una set­timana per avere una rispo­sta… ». Realista, il re.

Era da un po’ che non si camuffava: nel ’99 si fe­ce visitare tre volte all’ospedale Al Bashir e poi, finto businessman, an­dò alla frontiera saudita per verifica­re quante mazzette intascassero i do­ganieri. Due anni dopo, assieme al principe Alì, si presentò all’ufficio tasse per chiedere (senza ottenerlo) un rimborso. «Quand’ero erede al tro­no — ha spiegato una volta —, usci­vo a teatro, al supermarket o a fare i picnic con mia moglie. Diventato re, una sera ero a New York e provai ad andare al cinema per vedere Matrix: mi vennero dietro dieci auto, moto, la polizia col lampeggiatore, ventisei agenti… Allora mi dissi: devo fare qualcosa, per tenere il contatto con la realtà». Un po’ c’è riuscito. Sul sito del quotidiano giordano Al arab Al yawm (Arabi oggi), i commenti sono 51.244 e quasi tutti favorevoli. Le sue improvvisate sono diventate l’incu­bo del pubblico impiego giordano: «Mi dicono che, dopo, il servizio mi­gliora… ». I cittadini non avranno an­cora un trattamento da re. Ma, alme­no in quegli uffici, non li considera­no più come sudditi.

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